Da piccola volevo fare la maestra. Mi immaginavo già con gli occhiali, il registro sotto il braccio e una schiera di bambini urlanti che mi circondavano. Poi per tutta una serie di vicissitudini ho scelto una strada diversa, ma non troppo lontana.
Ho finito da poco il libro di Daniel Pennac "Diario di scuola". L'ho letto in tantissimo tempo (considerati i miei tempi di lettura abbastanza veloci), non perchè non mi piacesse, anzi! probabilmente perchè è così profondo e così intessuto della realtà quotidiana che riguarda la scuola, che ho voluto gustarlo con calma.
Pennac ci racconta gli alunni di oggi, i suoi alunni, in particolare quelli che vanno male, i "somari", quelli non conformi. Ma lo fa non etichettandoli come fanno i mass media che necessitano di grandi contenitori dove inserire gli essere umani, ma trattandoli con estremo rispetto, portando a galla gli aspetti angosciosi e ansiogeni che inducono il somaro a deragliare dalla retta via.
Mi è piacito molto il rapporto "schizofrenico" tra le due parti di Pennac che dialogano e si scontrano dialetticamente: lui e il somaro che era (basta guardare la copertina del libro per rendersi conto della situazione in cui versava).
Trascrivo un brano tratto dall'ultima parte del libro che mi è piaciuto particolarmente e che adotterei come tema delle prossime discussioni nei vari consigli di classe (di ogni ordine e grado):
"Qual è la questione?" (chiede il prof)
"La vera natura del 'questo' per il quale i giovani insegnanti dichiarano di non essere formati, ecco l'unica questione, che tu stesso hai sollevato"
"Risposta?"
"Vecchia come il mondo: i prof non sono preparati alla collisione tra il sapere e l'ignoranza, tutto qua!"
"Ah, capisco"
"Certo, queste storie di perdita di punti di riferimento, di violenza di consumismo, tutta 'sta musica è la spiegazione di oggi; domani sarà qualcos'altro. Del resto l'hai detto anche tu: la vera natura del questo' non è riconducibile alla somma degli elementi che lo costituiscono oggettivamente."
...
Il grande handicap degli insegnati starebbe nella loro incapacità di immaginarsi non sapere ciò che sanno. Quali che siano state le difficoltà che hanno sperimentato nell'assimilare le conoscenze, appena queste sono acquisite diventano consustanziali a loro, tanto che le percepiscono come ovvietà ("Ma è ovvio, dai!") e non possono immaginare la loro assoluta stranezza per chi, in quel preciso campo, vive una condizione di ignoranza.
Il somaro alla fine si prende il merito della buona riuscita del professore, perchè è grazie alla conoscenza dell'ignoranza e dei sentimenti che ne conseguono, che il prof Pennacchioni è un ottimo insegnante, anche e soprattutto per i somari che deviano.
E' un libro che consiglio vivamente di leggere, soprattutto agli insegnanti che spesso si demoralizzano e si sentono deprivati del loro ruolo istituzionale. Non è facile essere insegnante oggi, perchè la condizione dei giovani è davvero difficile da gestire, ma scaricare tutte le colpe sulla famiglia, su internet, sulla televisione, insomma sul sistema è una scorciatoia che alleggerisce la coscienza, ma non genera nessun risultato degno di nota.
Ho finito da poco il libro di Daniel Pennac "Diario di scuola". L'ho letto in tantissimo tempo (considerati i miei tempi di lettura abbastanza veloci), non perchè non mi piacesse, anzi! probabilmente perchè è così profondo e così intessuto della realtà quotidiana che riguarda la scuola, che ho voluto gustarlo con calma.
Pennac ci racconta gli alunni di oggi, i suoi alunni, in particolare quelli che vanno male, i "somari", quelli non conformi. Ma lo fa non etichettandoli come fanno i mass media che necessitano di grandi contenitori dove inserire gli essere umani, ma trattandoli con estremo rispetto, portando a galla gli aspetti angosciosi e ansiogeni che inducono il somaro a deragliare dalla retta via.
Mi è piacito molto il rapporto "schizofrenico" tra le due parti di Pennac che dialogano e si scontrano dialetticamente: lui e il somaro che era (basta guardare la copertina del libro per rendersi conto della situazione in cui versava).
Trascrivo un brano tratto dall'ultima parte del libro che mi è piaciuto particolarmente e che adotterei come tema delle prossime discussioni nei vari consigli di classe (di ogni ordine e grado):
"Qual è la questione?" (chiede il prof)
"La vera natura del 'questo' per il quale i giovani insegnanti dichiarano di non essere formati, ecco l'unica questione, che tu stesso hai sollevato"
"Risposta?"
"Vecchia come il mondo: i prof non sono preparati alla collisione tra il sapere e l'ignoranza, tutto qua!"
"Ah, capisco"
"Certo, queste storie di perdita di punti di riferimento, di violenza di consumismo, tutta 'sta musica è la spiegazione di oggi; domani sarà qualcos'altro. Del resto l'hai detto anche tu: la vera natura del questo' non è riconducibile alla somma degli elementi che lo costituiscono oggettivamente."
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Il grande handicap degli insegnati starebbe nella loro incapacità di immaginarsi non sapere ciò che sanno. Quali che siano state le difficoltà che hanno sperimentato nell'assimilare le conoscenze, appena queste sono acquisite diventano consustanziali a loro, tanto che le percepiscono come ovvietà ("Ma è ovvio, dai!") e non possono immaginare la loro assoluta stranezza per chi, in quel preciso campo, vive una condizione di ignoranza.
Il somaro alla fine si prende il merito della buona riuscita del professore, perchè è grazie alla conoscenza dell'ignoranza e dei sentimenti che ne conseguono, che il prof Pennacchioni è un ottimo insegnante, anche e soprattutto per i somari che deviano.
E' un libro che consiglio vivamente di leggere, soprattutto agli insegnanti che spesso si demoralizzano e si sentono deprivati del loro ruolo istituzionale. Non è facile essere insegnante oggi, perchè la condizione dei giovani è davvero difficile da gestire, ma scaricare tutte le colpe sulla famiglia, su internet, sulla televisione, insomma sul sistema è una scorciatoia che alleggerisce la coscienza, ma non genera nessun risultato degno di nota.
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