sabato 29 ottobre 2011

ACCIAIO


L'ho letto in meno di una settimana. Ogni mattina il tragitto verso il lavoro era il pretesto per fiondarmi nella lettura. Mi ha ricordato molto Ammaniti in "Come dio comanda". Mi ha suscitato lo stesso effetto: vedere muoversi i personaggi accanto me, magari immaginandoli con le facce di persone che conosco o che ho visto nella mia vita, ricostruendo quartieri della mia Sicilia, non molto diversi da Via Stalingrado (a parte la vicinanza dell'acciaieria).
La storia parla di tutto e di piú e la cosa che più mi fa pensare è la superficilità del pensiero dei personaggi. Tutto scivola. Tutto passa indifferente. Non importa cosa succede nel mondo. L'unica cosa che interessa è cosa succede in quel buco di mondo. Magari si sogna di scappare, di andare lontano, di fare grandi ocse. Ma alla fine, si resta e ci si ripare dentro una serie di abitudini che ti danno forza. O chissá. In realtà, il finale aperto consente al lettore di far vivere quello che gli pare ai personaggi. O forse, dopo quello che succede ad Alessio niente ha davvero importanza e tutto diventa superfluo.
È violento e mi ha lasciato con un magone. Non mi aspettavo di certo un lieto fine, ma la descrizione dell'incidente è così realistica, che ti fa sentire i due dolori allo stesso tempo: quello fisico di chi muore e quello emotivo di chi uccide.
Non voglio scrivere di piú.
Chi ha voglia di leggerlo, lo compri, perchè ne vale la pena!

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